Neanche il tempo di celebrare i trionfatori del Dolby
Theatre, che già si comincia a parlare dei delusi. Ecco chi è uscito a
pezzi dalla notte più attesa di Hollywood
È la prima legge di Hollywood: alla notte degli Oscar bisogna sempre sorridere.
Anche se i giurati hanno sbriciolato i tuoi sogni di gloria, fingi di
divertirti un mondo, applaudi chi t’ha fregato la statuetta e pensa che
(forse) sarà per la prossima volta. Se poi vuoi tornare nella tua villa
di Beverly Hills e sfasciare con una mazza da baseball il televisore al
plasma da 99 canali, non c’è problema: l’importante è non sbracare in
pubblico. Né durante la cerimonia né subito dopo, quando sui media si
scatena la caccia allo sconfitto.
Sì, il dopo Oscar segue sempre gli stessi rituali: prima
onore ai trionfatori, e poi guai ai vinti, che vengono additati al
pubblico ludibrio con un’evidenza direttamente proporzionale al loro
blasone. Un esercizio che quest’anno non richiede particolare acume,
perché i tonfi sono stati piuttosto sonori: ecco chi è uscito dal Dolby Thatre con le ossa rotte.
1. STEVEN SPIELBERG
Una leggenda americana, Abramo Lincoln, raccontata da un mito di Hollywood. Con queste premesse, per uno dei più grandi registi di sempre la tripletta come best director sembrava cosa fatta. I giurati, però, gli hanno rovinato la festa, incoronando Ang Lee, autore dell’incantevole Vita di Pi . Fatti salvi i (grandi) meriti del vincitore, non me la sento di considerare Lincoln allo stesso livello di Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan (i due film che sono valsi l’Oscar a Steven); a parte questo, ho l’impressione che a Spielberg abbia nuociuto il fatto di essere Spielberg.
Ormai, se un suo film non è un capolavoro assoluto, l’Academy
preferisce guardare altrove, evitando così le accuse di sudditanza
psicologica verso una leggenda degli studios.
2. LINCOLN
Al film è andata ancora peggio che al regista: 12 nomination, solo 2 vittorie, per il miglior attore protagonista (Daniel Day-Lewis )
e la miglior scenografia. Se non è una bocciatura questa… Come si
spiega? Con l’incapacità di questo kolossal, formalmente impeccabile e
recitato benissimo, di “scaldare” davvero pubblico e giurati. Per quanto
nobile nell’assunto, la biografia del presidente repubblicano che abolì
la schiavitù non ha rivelato quel senso di universalità che il dramma
dell’Olocausto (Schindler’s List) e della Seconda guerra mondiale (Salvate il soldato Ryan) avevano invece nel loro Dna.
3. KATHRYN BIGELOW
Reduce dal trionfo di The Hurt Locker (vincitore di sei statuette, tra cui quelle ambitissime per la miglior regia e il miglior film), la cineasta californiana ha mirato altissimo, cercando di raccontare la vera storia del raid americano che, il 2 maggio 2011, portò all’uccisione di Osama Bin Laden,
stanato nel suo rifugio in Pakistan. Stavolta, però, le è andata male:
non solo (e questo ovviamente si sapeva da mesi) non è stata neppure
candidata come miglior regista, ma ha visto naufragare in un mare di
indifferenza un film, Zero Dark Thirty
, che sentiva profondamente suo. Quando vinci solo una statuetta per il
miglior montaggio sonoro, puoi essere contento solo se hai presentato
una baracconata da Playstation, altrimenti è notte fonda. Il film si meritava un simile trattamento? Assolutamente no.
E allora? A costo di apparire maligni, non si può non collegare la
scelta dei giurati alle polemiche provocate da alcune scene del film,
che avvallano in pieno la teoria secondo cui la Cia ha sistematicamente
praticato la tortura pur di estorcere informazioni utili a scovare i
capi di Al Qaeda. Un segreto di Pulcinella, certo, ma chi osa renderlo pubblico prima o poi la paga.
4. QUENTIN TARANTINO
No, non sono impazzito: lo so che ha vinto l’Oscar (il suo secondo, tra l’altro) per la sceneggiatura di Django Unchained , eppure secondo me non gli è andata poi così bene. Perché? Semplice, Tarantino è un regista, e premiarlo solo come autore di copioni (successe anche 18 anni fa per Pulp Fiction) significa di fatto ridimensionarlo,
come se fosse un genialoide con delle belle idee, che mostra però la
corda quando deve realizzarle. Già gridava vendetta la mancata
nomination di Quentin come miglior regista, ma la sconfitta di Django nella categoria film completa l’opera: nonostante le apparenze, tra l’Academy e il filmmaker di Knoxville l’amore non è mai sbocciato. Meno male che è stato riconosciuto almeno lo straordinario talento di Christoph Waltz, incoronato miglior attore non protagonista.
5. JESSICA CHASTAIN
Bella, brava, richiestissima da registi e produttori, è stata premiata con il Golden Globe 2013 per l’intensa interpretazione di Maya, l’agente della Cia che guida la caccia a Bin Laden in Zero Dark Thirty. Candidata anche all’Oscar, si è ritrovata però con un pugno di mosche in mano, sorpassata a destra da Jennifer Lawrence.
Per carità, Jessica è senza ombra di dubbio uno dei volti nuovi più
interessanti di Hollywood, e ha tutte le carte in regola per dominare la
scena nei prossimi dieci anni. Anche, anzi soprattutto per questo, per
lei stavolta l’importante non era partecipare, ma vincere. Pazienza,
sarà per la prossima volta.